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Il design made in Italy famoso nel mondo: il maestro Massimo Vignelli

Scritto da Redazione Doctaprint
11 ottobre 2024
il maestro Massimo Vignelli
Se sei un appassionato di graphic design non puoi non conoscere Massimo Vignelli, uno dei designer italiani più famosi nel mondo. Ripercorriamo allora la sua carriera e scopriamo insieme quali sono i suoi lavori più famosi.


Un italiano a New York

Massimo Vignelli è nato nel 1931 a Milano, dove ha studiato architettura. Studiò all’Accademia delle Belle Arti di Brera, al Politecnico di Milano e all’Università di Venezia, poi si spostò negli Stati Uniti, dove lavorò per lo studio di design Unimark International, di cui fu anche co-fondatore e responsabile della sede di NY. Nel 1957 sposò Lella Valle Vignelli, la sua “più importante collaboratrice”, come amava definirla: fu proprio con lei che si trasferì, negli anni 60, definitivamente a New York, e fu con lei che fondò la Vignelli Design.

Nella sua lunga carriera ha anche insegnato all’Illinois Institute of Technology di Chicago, all’Umanitaria di Milano e all’Istituto per il Disegno Industriale di Venezia. È poi stato presidente dell’AGI (Alliance Graphique Internationale), presidente dell’AIGA (American Institute of Graphic Art), vicepresidente dell’Architectural League di New York e membro dell’IDSA (Industrial Designers Society of America).

Vignelli è morto nella Grande Mela nel 2014 e, anche in questa occasione, non ha lasciato nulla al caso perché aveva già programmato il suo funerale. Tutto è andato come aveva stabilito: le esequie sono state celebrate nella Chiesa di Saint Peter a Manhattan, di cui lui e la moglie negli anni ’70 avevano progettato gli interni, gli arredi, gli oggetti liturgici e la grafica. Vignelli ha persino disegnato la sua urna, simile a quella realizzata per la madre anni prima.


I lavori più importanti

Non c’è da stupirsi che Massimo Vignelli abbia trasformato anche il suo funerale in un oggetto di design: per lui, infatti, vita e lavoro erano una cosa sola e lo stesso design è una cosa sola. Durante il percorso di studi gli insegnarono che “un architetto deve essere in grado di progettare qualsiasi cosa, da un cucchiaio a una città”, principio dal quale deriva quella che è poi diventata una sua massima: “Design is one, it is not many different ones”. Su questo concetto si basa la sua filosofia e di conseguenza anche tutta la sua carriera professionale. Seguendo questi principi, infatti, nel suo lavoro ha spaziato dal graphic design all’organizzazione di mostre.


Il lavoro che tutti conoscono è certamente il disegno della mappa della metropolitana di New York realizzato nel 1972: fu Vignelli a tracciare i percorsi corrispondenti alle varie linee e ad assegnare a ognuno un colore diverso. Il lavoro, però, fu molto contestato perché secondo molte persone non rispettava la topografia della città. Il designer, ad esempio, si era rifiutato di colorare i parchi di verde e l’acqua di blu; la mappa fu così ritirata nel 1979 ma, nonostante le critiche dal punto di vista cartografico, è stata inserita nella collezione del MoMA e ancora oggi viene apprezzata come oggetto di design che coniuga bene il modernismo europeo al design americano; recentemente, inoltre, è stata anche riutilizzata per una guida della metropolitana di New York.

In un ambito molto affine, per la Unimark International Vignelli realizzò un manuale sulla cartellonistica per i trasporti della Grande Mela utilizzando il suo font preferito, l’Helvetica. Nel campo dei trasporti, inoltre, in Italia Vignelli ha ridisegnato la segnaletica delle stazioni ferroviarie.

Nei primi anni della sua carriera ha realizzato, invece, i manifesti per la Biennale di Venezia, le copertine per la Biblioteca Sansoni e la grafica per l’immagine del Piccolo Teatro di Milano. In seguito Vignelli si è occupato di corporate identity per varie aziende e in modo molto versatile, passando spesso dall’allestimento di interni al design e al packaging dei prodotti. Questo tipo di attività l’ha svolta a partire dal 1966 per la Knoll, azienda per la quale ha realizzato materiali pubblicitari ma anche oggetti di design, come la celebre sedia Handkerchief, così chiamata per la sua singolare forma “a fazzoletto”: la critica la apprezzò molto per il suo essere minimalista e funzionale ma allo stesso tempo bella e accogliente.

Anche questo modo di concepire il design faceva parte della filosofia di Vignelli, secondo il quale la funzionalità di un oggetto rappresenta il fulcro di tutto il lavoro. Nel Canone Vignelli, una sorta di manifesto, il designer si discosta dalle mode e da quella che definiva “cultura dell’obsolescenza e dello spreco”: “Siamo per un design che duri – si legge nel testo – che risponda ai bisogni e ai desideri delle persone”, e ancora “quella del designer è una vita di lotta, una lotta contro il brutto”.

Tenendo fede a questi suoi principi, Vignelli si è poi occupato di brand identity, realizzando loghi e grafiche per tantissime aziende, tra le quali figurano Cinzano, IBM, Ford, Lancia, Benetton, Ducati, Gillette, American Airlines. Per la compagnia aerea disegnò il celebre logo con la doppia A, icona utilizzata per ben 45 anni e sostituita solo di recente, non senza critiche. Da ricordare, infine, sono la grafica e le celebri shopping bag di Bloomingdale e il logo del Tg2 che conferì al telegiornale Rai uno stile tutto nuovo.




La lezione di Vignelli

In un’intervista al St. Louis Post Vignelli criticò aspramente il modo moderno di fare design: “Ci sono troppe persone senza nessuna preparazione che si occupano di graphic design – dichiarò – e siccome hanno un computer, non c’è limite alle cose che possono creare: newsletter, segnaletica e così via. È inquinamento! Non hanno la minima idea della dignità della professione”.

Il designer non perdeva mai occasione per ribadire che, come in tutte le professioni, non ci si può improvvisare: per diventare graphic designer serve una preparazione adeguata e tanta esperienza. Quali sono, dunque, gli insegnamenti che un giovane graphic designer può trarre dalla lezione di questo grande maestro?

Secondo il concetto alla base di tutta la sua filosofia, il design è un’unica disciplina che si declina poi in varie forme per le quali, però, è necessario utilizzare lo stesso approccio. Partendo da questo, Vignelli ha poi espresso una serie di principi nel già citato Canone, dei suggerimenti utili per tutti coloro che lavorano nel campo del design. Eccone una sintesi:

1 – Semantica: “La prima cosa che faccio quando inizio un nuovo lavoro di qualsiasi tipo è ricercarne il significato”. Prima di mettersi all’opera occorre farsi delle domande e conoscere a fondo la storia e le caratteristiche dell’oggetto del nostro lavoro per comprenderne a pieno il significato e per riuscire poi a farlo emergere nella sua realizzazione.

2 – Sintassi: “La sintassi del design, come quella della grammatica, è composta da varie componenti che fanno parte della natura del progetto. […] La coerenza in un lavoro di design è data dal giusto abbinamento dei vari elementi sintattici del lavoro”. Le componenti della sintassi nel graphic design sono ad esempio la struttura generale del progetto, i caratteri tipografici, i testi, i titoli e le immagini: tutti questi elementi devono essere associati in modo coerente e funzionale, affinché ogni parte contribuisca al risultato finale.

3 – Pragmatica: “Se ciò che creiamo non viene capito, vuol dire che abbiamo fallito nella comunicazione”. Per il maestro, se un designer realizza qualcosa il cui senso non viene compreso, vuol dire che non ha svolto bene il suo lavoro. In sostanza, un oggetto di design deve parlare da solo, deve rispondere alle reali esigenze delle persone e deve essere “senza tempo”, ossia destinato a durare e a non perdere mai la forza del suo significato.


4 – Disciplina: “L’attenzione ai dettagli richiede disciplina. Non c’è spazio per la negligenza, per la trascuratezza o per la procrastinazione”. Ogni particolare è importante nel processo creativo perché contribuirà al successo del risultato finale. L’attenzione al dettaglio, dunque, è di primaria importanza per un designer: non bisogna essere approssimativi.

5 – Appropriatezza: “L’appropriatezza ci dirige verso il giusto mezzo, il giusto materiale, la giusta dimensione, la giusta espressione, il giusto colore e la giusta texture”. Questo principio è un po’ la somma di quelli elencati in precedenza: se, nel processo creativo si seguono i passaggi appena elencati, si arriverà a scegliere i mezzi e i metodi più appropriati per realizzare ogni progetto.

6 – Ambiguità: “Io do un’interpretazione positiva al termine ambiguità. La intendo come una pluralità di significati o come l’abilità di conferire a un oggetto o a un lavoro di design la possibilità di essere letto in modi diversi, ciascuno complementare all’altro, per arricchire ulteriormente il significato finale”. Le parole di Vignelli, in questo caso, si spiegano da sole: tuttavia, avverte, bisogna essere cauti e usare l’ambiguità nella giusta misura, altrimenti si rischia di ottenere l’effetto contrario a quello desiderato.

7- Responsabilità: “Come designer abbiamo tre livelli di responsabilità: verso noi stessi e l’integrità del progetto in tutte le sue parti; verso il cliente, per riuscire a risolvere un problema in modo efficiente sotto tutti i punti di vista, compreso quello economico; verso il pubblico, il consumatore, l’utente del prodotto finito”. Secondo Vignelli bisogna essere responsabili e pronti a risolvere qualsiasi problema a qualsiasi livello, senza compromessi.

8 – Rispetto: “Considero i loghi consolidati come qualcosa da proteggere”. Vignelli sosteneva che se un’azienda ha un’immagine ormai consolidata e conosciuta, questa non dovrebbe essere alterata, perché rappresenta una sorta di patrimonio. Quando un cliente chiede un rebranding il designer deve agire, anche in questo caso, con responsabilità: deve essere in grado di capire quando è controproducente un cambiamento radicale e agire di conseguenza. Il designer cita come esempi i loghi di Coca-Cola, Shell o American Airlines, icone entrate ormai nell’immaginario collettivo e che rappresentano la nostra storia. Nel suo stesso lavoro Vignelli ha messo in pratica questo principio, limitandosi spesso a un ritocco o a un upgrade del logo esistente, come ad esempio nel caso di quello della Lancia.


9 – Conoscenza dei font: “Sono convinto che molti font vengono creati solo per scopi commerciali, per fare soldi o per creare un’identità. In realtà il numero dei font di qualità è piuttosto ristretto”. Oltre a pensare che la vastità di font creati con il computer “inquinassero” il mondo del design, Vignelli sosteneva che i giovani oggi non conoscono i principi della tipografia: per un designer, invece, è fondamentale studiare i font per poter poi scegliere il più adatto a ogni progetto. I suoi preferiti erano l’Helvetica, il Garamond e il Futura: secondo lui, una volta individuato il migliore per un determinato lavoro, bisogna usare sempre quello.

10 – Altri suggerimenti: nella parte finale del suo Canone, Vignelli fornisce ai suoi lettori altri suggerimenti pratici per riuscire al meglio nel proprio lavoro. Eccone alcuni: giocare con le dimensioni e alternare caratteri grandi a caratteri piccoli creando anche spazi vuoti, perché “in un mondo dove tutti urlano, il silenzio diventa rilevante”; scegliere il giusto materiale per ogni prodotto, perché è anche “attraverso questa scelta che articoliamo la forma di un oggetto ed esprimiamo il suo significato”; infine, mettersi in gioco, essere curiosi e cercare sempre di arricchirsi provando a fare nuove scoperte, “trovando nuove vie per fare la stessa cosa meglio di prima”.

Photo Credits: vignelli.com